Festival di Sanremo 2016, più tv e meno cultura è davvero la strada giusta?

E niente, anche quest’anno il Festival di Sanremo s’è scordato d”essere un evento culturale per votarsi al culto della televisione. Anzi, quest”anno più che mai possiamo dire che non esiste (o quasi) artista in gara che non sia prima passato da qualche programma televisivo. Certo all’appello manca The Voice of Italy, o forse anche no, perché magari il buon Carlo Conti avrà pensato di rimediare con Dolcenera che forse si trasferisce sulle poltrone rotanti della Toro Produzioni. Che bel casino è poi capitato ai Dear Jack, che guarda caso si sdoppiano e raddoppiano, e per fortuna che X Factor made in Sky ha tirato su buoni artisti come la Michielin, altrimenti si sarebbe optato per il double Scanu con un altro Tale e Quale. Beh, quando metti un capitano della televisione alla guida di un evento non puoi aspettarti la prima della Scala…

Ripensando agli outfit della Santanché forse è meglio così, anche se ogni tanto potersi stupire con il Festival di Sanremo non sarebbe così tanto negativo. Perché il cast era già stato ampiamente annunciato, e perché sì, già sappiamo dove andrà a parare Carlo Conti che a furia di Tale e Quale non riesce a smarcarsi dal mappazzone (che lui chiama mosaico) di scenette popolari sconnesse e interconnesse. I giovani Migliori Anni probabilmente, con gli stessi autori, la stessa regia, lo stesso scenografo del 2015 e con molta, troppa televisione attuale in un contesto anni’80, dove nemmeno il polemicone sembra più trovare spazio e dove dell’ “evento culturale” che dovrebbe essere non se ne vedrà , ancora una volta, neanche l”ombra.

Al Festival di Sanremo che grandi ascolti! Se solo fossero tutti svegli…

Vero è che il Festival di Sanremo nasce come papà dell’Eurovision Song Contest, evento televisivo per eccellenza; meno vero è che i due eventi condividano la stessa anima. E non parlo del fattore televisivo che di per sé li accomuna ed è necessario alla loro esistenza, ma al fattore aggregante che nel figlio c’è ma nel padre manca. Perché se l”Eurovision unisce tre giorni l”anno l’intera Europa in un unico grande coro, il nostro Festival di Sanremo al massimo unisce la famiglia sul divano, con la figlia che alza lo sguardo dallo smartphone quando passa Lorenzo Fragola e il padre che si addormenta appena in tempo per il passaggio di Patty Pravo (almeno lei ancora intonsa dalla tv). Più papà che figli sul divano, perché per quanto in Rai si sforzino di fare i giovani poi non ci riescono mai, soprattutto in prima serata (con qualche eccezione al pomeriggio, puntualmente distrutta alle 21.00).

Grandi ascolti, è vero, a cui corrispondo grandi divani colmi di gente che chiacchiera, critica e va a dormire. Perché alla fine della fiera, questi tanto osannati Festival di Conti dai numeroni inarrivabili lasciano ben poco allo spettatore macinando ascolti passivi, di routine, che mai si dovrebbero avere per decretare di successo un evento culturale. Già, perché il Festival di Sanremo dovrebbe essere l’unico evento culturale aggregante italiano, e perché la cultura non è per forza il monologo di Benigni o Dario Fo, anzi. Ma Sanremo – o meglio, la sua direzione artistica – non ha l”anima dell”incontro, ma del racconto liturgico dal quale puoi anche distrarti perché tanto alla fine non perderai mai il filo logico del discorso, se logica o discorso c’è.