Per gli italiani un pensiero fisso: l’estero è meglio di noi stessi. Che sia con i nomi, che sia con la lingua.
Trovare un italiano nell’intrattenimento italiano, ultimamente, è meno facile di quel che si potrebbe pensare. Un po’ come illudersi di voler trovare quel famoso ago nel pagliaio con un metal detector, senza sapere però che quell’ago è di plastica, quindi non rintracciabile; cerca e ricerca, non si trova mai nulla di interessante. Non è un caso che nella nuova Isola dei Famosi i personaggi più intriganti siano proprio il francese Brice, l’argentina Cecilia e la sarta marocchina Rachida Karrati, mezza cuoca, completa battagliera.
E se l’Isola dei Famosi, dal canto suo, offre il meglio di sé proprio grazie a questi elementi di patria diversa dallo Stivale, dalla parte opposta, sull’ammiraglia Rai 1, accade l’esatto contrario, con personaggi stranieri che ben poco hanno da dire e che, eventualmente ne avessero, non sarebbero neanche in grado di farlo. Gli altri stranieri in questione sono i due strani soggetti che Raffaella Carrà s’è voluta portare dietro nella giuria del fallimentare Forte Forte Forte; in un contenitore che non è né carne né pesce, due giudici stranieri, Philipp Plein e Joaquin Cortés, che per l’appunto non sono né carne né pesce. Tralasciamo Asia Argento perché no, lei non è straniera.
Può un Joaquin essere meglio di un Gioacchino anche nella lingua italiana?
Quando si guarda al mondo esterno, dall’Italia, si ha sempre la percezione che tutto sia fatto meglio e che tutto sia più avvincente, auto-convincendoci – vai poi a capire perché – che dalle nostre parti siamo solo dei buoni a nulla. Ebbene, per dare in ogni dove quel tocco di internazionalità, pensiamo sempre che la soluzione adeguata sia cercare alla cavolo nomi e cognomi stranieri a cui rispondiamo con la bocca spalancata, perché un Philipp e un Joaquin fanno più colpo di un Filippo e Gioacchino.
E magari un Gioacchino avrebbe ben più da dire di un Joaquin qualunque, almeno in Italia, quantomeno perché la nostra lingua la mastica quotidianamente. Perché i Mika di turno, quelli che sanno fare della propria idea un’opinione spalmandola su diversi idiomi, sono solo delle piccole eccezioni. La maggior parte degli strabilianti nomi americani blasonati, quando non hanno un interprete che arriva in secondo piano ad appiattire tutte le espressioni in favore della comprensione, se arrivano in Italia non sanno pronunciare null’altro che “Buoniseri, italialloviu, vivuoglio bbene”.
È una lingua complicata la nostra, che molto spesso neanche noi stessi conosciamo fino in fondo e che preferiamo macchiare con superflui accenti d’oltralpe e d’oltre oceano, ma non sempre con i giusti risultati. Ancor di più siamo irrispettosi di noi stessi quando crediamo a tutti i costi che gli altri sappiano fare meglio di noi ciò che invece ci appartiene, a partire dalla lingua, che se è talmente complicata per chi la conosce fin dalle fasce, figuriamoci quanto può essere distrutta da chi la vuole imparare a tarda età.
E no, Philipp Plein e Joaquin Cortés non hanno nemmeno quella dolce simpatia che ti fa accettare l’incomprensibile “Choosato“ che candidamente Mika si lascia sfuggire ogni tanto. Cosa ci faccia “Choosare” ogni volta lo straniero, anche quando questo non ha nulla da dare o da dire, è poi ancor meno comprensibile del neologismo del cantante libanese; e ce ne vuole. Ma anche in questo, nel sotterrarci con le nostre stesse mani, siamo sempre noi ad eccellere. Quello che manca è convincerci delle nostre eccezionalità, smettendola di cercare bellezze altrove quando le abbiamo ogni giorno sotto il naso, nella nostra bocca e nella nostra testa.